Emotional Food ce ne parla Gregori Nalon a cuore aperto
Maria Giovanna Labruna • 19 aprile 2020
In cucina competenza e tanta passione

Gregori Nalon in una foto curiosa, ci racconta Emotional Food
Emotional Food ne parliamo con Gregori Nalon. Lo avevamo già conosciuto durante il Sigep, ma oggi in una piacevole intervista con Maria Giovanna Labruna, si mette sottovento e, a cuore aperto ci parla di lui e del suo concetto di “Emotional Food”. Presto, sarà ospite fisso nella nostra rubrica dedicata al Food e avremo così occasione di condividere con un guru della cucina, qualche ricetta e qualche gustosissimo segreto.
Un 2020 pieno di sogni per Gregori Nalon
Un 2020 pieno di sogni da realizzare, con tante idee e con innovazione.
Con l’uscita del primo lavoro editoriale si realizza un sogno chiuso nel cassetto da anni.
Quella di oggi è una di quelle interviste che partono con un tono rilassato, pacato con la voglia di raccontare e raccontarsi.
Lo chef Gregori Nalon si è rivelato a 360 gradi, parlando non solo della sua attività (già nota al grande pubblico) bensì pure dell’innovazione che si fonde con la tradizione in cucina. La novità di quest’anno è l’avvio di un’iniziativa editoriale.
Sicuramente lo chef veneziano è conosciuto dal pubblico televisivo grazie alla trasmissione “La prova del cuoco” di Rai Uno
e “Piatti & Misfatti” di Alice Tv.
Già apprezzato e stimato dagli addetti ai lavori da tantissimo tempo. In quanto è considerato uno dei più importanti chef di cucina, profondo conoscitore e comunicatore delle tecnologie applicate alla ristorazione, impegnandosi da anni nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie, nella sperimentazione, nelle consulenze di cucina per la formazione tecnica delle ricette e la formazione del personale. Scrivono di lui: “Gregori è un “cuoco” dalle mille sfaccettature, dalle inesauribili idee, dalle decine di iniziative.
Con lui la cucina e soprattutto la professione del “cuoco” non si ferma al piatto o alla ricetta ma “vola” verso le più alte sfere dell’emotività e della creatività massima, passando per lo studio della tecnica, all’innovazione fusa con la tradizione e l’attenzione alle emozioni, con il così detto Emotional Food”.
L’intervista alla scoperta dell’Emotional Food
Una domanda che tanti le avranno fatto ma sempre attuale per capire meglio da dove partiamo. Come nasce questa grande passione per la cucina?
Nasce per caso, ovvero la cucina mi piaceva da piccino, facendo esperimenti soprattutto a casa di mamma, bruciando qualche pentola, ma il tutto nasce per sfida nel trovare un lavoro immediato che mi potesse dare qualche soldino per acquistare il mio primo motorino. Subito dopo l’iscrizione all’alberghiero, e la mia prima stagione estiva a lavorare, con un coinvolgimento passionale a questo mestiere.
Dopo tanta gavetta in Italia finalmente le grandi esperienze all’estero. Parliamo proprio di queste esperienze: differenti culture culinarie e antropologiche. Che impatto hanno avuto nei confronti della sua cucina?
In realtà ho fatto esperienze estere di varie sfumature, sempre all’insegna della formazione, ricordo in Sud Africa, Grecia, Spagna, Romania, Svizzera, Slovenia, Repubblica Ceca, Ungheria, Inghilterra, Danimarca, Romania, Francia, e forse qualche altro paese che non ricordo più. Tutto questo porta a conoscere ed assimilare tecniche, situazioni, mentalità e modi di pensare diversi. Il tutto crea una formazione personale non indifferente. Lo studio approfondito poi della cultura orientale come la cucina dei 5 elementi (mi vede attualmente il primo ed unico cuoco che in Italia ha modificato e che pratica tale disciplina), mi ha fatto ampliare la mia cultura, il mio modo di pensare, creare in tempi velocissimi, proprio perché mentalmente ho assimilato schemi e mappe culinarie uniche nel loro genere.
Tornando all’Italia e alla cucina italiana, esiste un concetto che può catturarne l’essenza o un tratto particolare che la identifica?
Come spesso dico nei miei seminari, la mia logica ed il mio concetto non ha paragoni, perché nasce da me, quindi ne detengo il primato, lo studio della dottrina cinese, la cultura orientale, le mappe e schemi culinari, ne fanno una originale ideologia di cucina ed una unica semplificazione dei processi lavorativi.
Quali sono gli ingredienti che utilizza più spesso? Utilizza tutta la “tavolozza dei colori”?
Direi che non ci sono ingredienti che utilizzo di più o di meno, ma di quelli che conosco ovviamente li utilizzo tutti. Sostanzialmente il mio variare di ingredienti varia da dove sono a fare formazione e consulenze in quanto ogni luogo che visito ha già di suoi ingredienti precisi, diversi e unici. Per quanto riguarda la tavolozza dei colori…. Beh! Con la cucina dei 5 elementi non si può non valorizzare questo aspetto.
Lei ha parlato della cucina dei 5 elementi + 1. Di cosa si tratta?
La cucina dei 5 elementi + 1 nasce dalla cultura cinese, cultura orientale, e non significa usare cose strane, fare ricette improponibili, ma significa utilizzare un concetto, uno schema, un insieme di semplici regole che se messe in atto ne fanno di ogni ricetta un piatto infallibile.
La cucina dei 5 elementi + 1, ricopre tutti gli aspetti che il nostro corpo, la nostra mente hanno bisogno, toccando l’aspetto cromatico, sensoriale, sollecitando tutti gli organi.
Non sto parlando della solita cosa che si sente dire, qui siamo su livelli di sviluppo mentale, interiore, molto più profondo e più intenso.
I 5 elementi + 1, significa che sono io o voi, ovvero, io vi posso dare tutti gli scemi o mappe gastronomiche mentali, ma sarete solo voi l’elemento creativo in più.
Qual è il suo piatto preferito nel nuovo progetto editoriale?
Non esiste “un” piatto, ma esistono una serie di nuovi concetti, di nuovi “schemi” mentali culinari, che portano ad avere tutte le ricette uniche.
La ricetta che la rappresenta di più in questo suo primo libro?
Tutte. Perché sono scritte con i miei sentimenti, passioni e vicende che in varie situazioni della mia vita hanno portato a scrivere tutto ciò.
A casa cucina lei?
Direi di sì. Abitando da solo, ne sono obbligato. Scherzi a parte se sono a casa mia i fornelli sono miei, se sono dai genitori o amici, mi metto da parte e rispetto chiunque cucina, perché unico nella sua modalità, cultura, passione.
Qual è secondo lei la nuova tendenza della cucina?
La semplificazione dei processi di lavoro, la semplificazione delle lavorazioni e la valorizzazione in purezza dell’ingrediente.
Ritorneremo a mangiare con le mani, dobbiamo riprenderci la nostra cucina, dobbiamo assaporare un cibo toccandolo con le mani (dove possibile), tipo una frittella, una crocchetta, un cosciottino di pollo, insomma tutto quanto si può.
Siamo in un’era dove tutto è tagliato, tutto è sbucciato, ma vogliamo mettere la soddisfazione di mordere una mela con i denti direttamente? Mangiare una costina di maiale alla griglia con le mani? Assaporare una fetta di torta con le mani? Ci sono sensazioni, emozioni, che legate al cibo ed all’ambiente in cui siamo in quel momento non hanno uguali. Non scordiamoci che la missione futura di chi fa il mio lavoro sarà insegnare ai ragazzi a fare un ragù di carne, un sugo al pomodoro, un cannellone, una lasagna, una bistecca perfetta, e molto altro. Tutti fenomeni a fare spume, aria e cialde, ma poi i locali che lavorano effettivamente sono quelli che realizzano piatti tradizionali secondo la cultura enogastronomica italiana.
Lo chef Gregori Nalon è stato il primo a creare in Italia la figura del Cooking Strategist. Ci può spiegare di cosa si tratta?
Cooking Strategist, ovvero colui che trova le strategie migliori nelle aziende (ristoranti, bar, hotel, e tutto quanto fa ristorazione).
Questa figura nasce dopo anni di esperienza, dopo aver compreso e processato gli schemi mentali culinari, dopo aver fatto una esperienza in tutti i settori lavorativi del nostro ramo.
Sostanzialmente il Cooking Strategist, interviene in modo completo nelle cucine, collabora con gli chef o con i titolari, trova le giuste strategie, le giuste linee guida per creare business efficace, duraturo, professionale. Saper cucinare al giorno d’oggi non basta più, anzi, diventa un aspetto complementare che deve andare di pari passo con la gestione della struttura e principalmente la gestione di noi stessi, cosa più difficile da farsi.
Cos’è “l’Emotional Food”?
Emotion Food è una filosofia, un concetto da me ideato.
Sono corsi fatti in team, ma anche one-to-one, dove io guido tale concetto, attraverso varie sfumature, tocco varie leve emozionali, portando lo chef che partecipa a capire determinate condizioni mentali che fanno capire come gestire le emozioni personali, come detto le più difficili.
Le ricette hanno un aspetto emozionale, che arrivano direttamente al cuore di chi legge. Tali frasi, concetti, sono scritti per essere parte di ognuno. Chiunque legge una ricetta fatta con la filosofia Emotional Food, sentirà sua quella ricetta, perché tocca profondamente ogni aspetto che tutti noi abbiamo.
In un recente articolo è stato definito “Perseverante o testardo. Appassionato o maniacale”. Lei come si definirebbe?
Credo che nel dire il mio nome Gregori Nalon, sia chiaro che sono racchiusi tutte questi aggettivi che mi sono stati accollati. Chi mi conosce profondamente sa che sono una persona costante su ciò che credo, resto fermo nelle mie ideologie e pensieri proprio perché arrivano dopo una gavetta e tanto studio.
Non è facile entrare nel mio mondo, ma chi ci entra ne ha sempre tratto benefici.
In cucina c’è poco spazio per chi non segue le regole, per chi non osa e per chi si sente già arrivato.
Il nostro lavoro è durissimo se visto come lavoro, ma è semplicemente passionale e magico se è visto come hobby.
Cosa si sente di dire a chi sta muovendo i primi passi in cucina?
Se volete essere dei grandi Chef di cucina, fate tantissime esperienze. Provate di tutto, fate i cuochi, i camerieri, lavorate in ricevimento, fate i macellai, i pescatori, i contadini, studiate veterinaria, studiate scienze dell’alimentazione, fate i panettieri, pasticceri, gelatai, aprite un’attività culinaria in proprio, sperimentate, fate cucina scientifica, andate all’estero, cambiate tipologia di locali da trattorie, da stellati, in pizzerie, ristoranti, hotel, non guardate le ore di lavoro, non guardate le feste, andate in tv, fate gare, competizioni, mettetevi in discussione, insomma fate più esperienze possibili, e tutto questo se potete in pochissimi anni non più di 10/15, solo cosi potrete un giorno diventare dei Cooking Strategist..
Per il resto fare lo chef di cucina è meraviglia.
Intervista realizzata dalla giornlista Maria Giovanna Labruna

Negli ultimi anni, sempre più persone stanno riscoprendo un'antica saggezza: immergersi nei boschi fa bene. Non si tratta solo di una passeggiata tra gli alberi, ma di una vera e propria pratica di benessere conosciuta come forest bathing o, in giapponese, Shinrin-yoku. Nata in Giappone negli anni '80 come risposta all'aumento dello stress e dei disturbi legati alla vita urbana, questa pratica consiste nel trascorrere del tempo in modo consapevole in ambienti naturali, soprattutto nei boschi, con l'obiettivo di rilassarsi, rigenerarsi e rallentare. Oggi è diventata una tendenza globale, amata da chi cerca un'alternativa autentica alla frenesia digitale. Diversi studi scientifici hanno confermato che passare anche solo un paio d’ore tra gli alberi può abbassare la pressione sanguigna, ridurre i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) e migliorare l’umore. I profumi degli alberi, il suono delle foglie mosse dal vento, il contatto con il suolo: ogni dettaglio stimola i sensi e contribuisce al benessere psicofisico. In Italia stanno nascendo sempre più iniziative: passeggiate guidate nei parchi naturali, percorsi sensoriali, ritiri di disconnessione, perfino sessioni di meditazione tra i faggi e le querce. Le foreste, da sfondo per le gite domenicali, si stanno trasformando in veri e propri centri di “cura naturale”. Questa tendenza si inserisce in un più ampio ritorno alla semplicità, al contatto diretto con la terra e alla ricerca di equilibrio. In un'epoca in cui siamo costantemente connessi, immergersi nei boschi ci invita a staccare, respirare, e tornare a sentirci parte di qualcosa di più grande. Prossima gita? Lascia lo smartphone a casa e ascolta il canto del bosco.

Nel 2024 l’agroalimentare italiano ha segnato una crescita del +5,9%, superando nettamente l’andamento del PIL nazionale. A trainare il settore è l’export, che rappresenta oltre il 40% del fatturato complessivo, con gli Stati Uniti tra i principali mercati di sbocco. Tuttavia, sull’orizzonte si addensano nubi: l’ipotesi di nuovi dazi USA – fino al 25% – preoccupa fortemente le aziende italiane, soprattutto nei comparti vino, formaggi, salumi e olio. Il timore è che un ritorno di politiche protezionistiche possa rallentare bruscamente la crescita, con perdite stimate fino a 2 miliardi di euro. Il governo italiano e le istituzioni europee sono al lavoro per scongiurare nuove barriere commerciali, mentre le imprese accelerano la diversificazione verso altri mercati. In un contesto globale incerto, il Made in Italy resta forte, ma serve una strategia comune per tutelarne la competitività. Foto Web

Un primo piatto che racconta il meglio del territorio e della tradizione mediterranea: gnocchetti freschi con cozze, zucchine e pomodori del Vesuvio, una ricetta che unisce semplicità, gusto e raffinatezza. Perfetta per un pranzo domenicale in famiglia o per stupire gli ospiti con sapori autentici e armoniosi. La dolcezza delle zucchine e l’intensità dei pomodori vesuviani si sposano con il sapore deciso delle cozze, regalando un equilibrio perfetto tra mare e orto. Un piatto ricco, ma delicato, che si prepara facilmente e in poco tempo, lasciando spazio al piacere della tavola e alla convivialità. Ingredienti per 4-5 persone: 500 g di gnocchetti freschi 500 g di zucchine 500 g di cozze sgusciate 300 g di pomodori rossi del Vesuvio Cipolla sminuzzata finemente Olio extravergine d’oliva q.b. Sale grosso q.b. Pepe e peperoncino a piacere Pecorino grattugiato (facoltativo) A piacere: gamberetti, prezzemolo e basilico Procedimento: In una padella capiente, scaldate un filo d’olio extravergine d’oliva e fate soffriggere la cipolla finemente tritata. Insaporite con un pizzico di sale, pepe e peperoncino. Unite quindi le zucchine tagliate a dadini e fate cuocere a fuoco moderato, finché iniziano ad ammorbidirsi e a creare una consistenza cremosa. Nel frattempo, tagliate i pomodori a pezzetti e fate aprire le cozze a vapore, poi sgusciatele con cura. Mentre prosegue la cottura delle zucchine, portate a ebollizione una pentola d’acqua salata per la pasta. Utilizzate un mestolo di questa acqua bollente per ammorbidire ulteriormente il fondo di cottura delle zucchine. Aggiungete quindi i pomodori al composto e, poco dopo, anche le cozze pulite. Cuocete per pochi minuti, giusto il tempo di amalgamare bene tutti gli ingredienti. Lessate gli gnocchetti, scolateli con delicatezza e uniteli al sugo in padella, facendoli saltare per qualche minuto a fuoco vivo per assorbire bene i sapori. Completate con una spolverata di pecorino, un tocco di prezzemolo fresco o basilico a piacere e servite subito. Consiglio dello chef: Per un tocco ancora più ricco e marinaro, potete aggiungere qualche gamberetto in cottura assieme alle cozze. Un piatto dal risultato garantito, che vi farà raccogliere molti complimenti a tavola. Buon appetito!

Zafferano 3 Cuochi, l'iconico marchio di zafferano, festeggia il suo novantesimo anniversario. E lo fa con una campagna di comunicazione, dal titolo "90 anni insieme" che sancisce un legame indissolubile con i consumatori tanto da essere riconosciuto come "LO Zafferano degli italiani". Fondata a Milano, l'azienda celebra questo importante traguardo con un barattolino di zafferano in oro, realizzato in edizione limitata e destinato a tutti i canali distributivi Food&Service. "Da 90 anni, Zafferano 3 Cuochi è un pilastro della tradizione culinaria italiana, mantenendo una qualità senza pari - afferma Paolo Daperno, Direttore Generale del brand -. Il nostro impegno per l'innovazione e il legame profondo con i consumatori ci ha permesso di evolverci con i tempi pur rimanendo fedeli alla nostra eredità. Siamo orgogliosi di continuare ad arricchire i piatti italiani e ispirare nuove creazioni culinarie, assicurando che Zafferano 3 Cuochi rimanga 'LO Zafferano' per le generazioni a venire". Storia. La storia di Zafferano 3 Cuochi inizia a Milano, in via Cappellini, il 12 giugno 1935, con l'intuizione del fondatore Gianni Mangini che decide di rivoluzionare il mercato alimentare introducendo lo zafferano in polvere confezionato in bustine pre- dosate. Si trattava a quell'epoca di un'innovazione senza pari per un prodotto che fino ad allora veniva venduto "sfuso" nelle drogherie ed era considerato d'élite. Questa innovazione ha portato di fatto lo zafferano da ingrediente pregiato riservato alle occasioni speciali a un utilizzo nella cucina di tutti i giorni. Nel 2021 il Ministero delloSviluppo Economico ha riconosciuto Zafferano 3 Cuochi quale "marchio storico di interesse nazionale". L'inconfondibile confezione del marchio, contrassegnata dal disegno di tre cuochi sorridenti in fila, è stata realizzata un pittore inglese nel 1935 ed è rimasta pressoché invariata fino ad oggi, diventando iconica. Fin dalla sua nascita, Zafferano 3 Cuochi ha goduto di un primato incontrastato e di un successo costante, diventando il marchio leader in Italia. Il suo successo è decretato dalla qualità, praticità e versatilità, garantendo uno zafferano in polvere con colore, profumo e sapore superiori alla media del mercato, che si scioglie facilmente e si distribuisce in maniera uniforme nei piatti. Ancora oggi, 90 anni dopo, è riconosciuto come "Lo Zafferano" per antonomasia. Zafferano 3 Cuochi ha costantemente dimostrato la sua versatilità al di là del classico risotto alla milanese, ispirando una vasta gamma di piatti tra cui antipasti, primi, secondi, contorni e dolci fino a toccare il mondo della mixology. Gli archivi del marchio vantano oltre 700 ricette allo zafferano, e nuove ricette vengono condivise ogni settimana sul sito web rinnovato, in ricettari interattivi e sui canali social di Zafferano 3 Cuochi. La lavorazione di Zafferano 3 Cuochi inizia con la selezione delle migliori materie prime grazie alla passione e alla conoscenza dei mercati di approvvigionamento dal 1935. La raccolta avviene una sola volta all'anno in autunno, quando ogni fiore viene colto manualmente, senza alcun tipo di meccanizzazione. Si passa poi alla sfioratura, un lavoro che va fatto con delicatezza per non rovinare i pistilli. Lo stesso giorno si procede con l'essiccazione, un processo in cui lo zafferano perde circa i cinque sesti del suo peso. Per 1 kg di zafferano essiccato servono 150.000 fiori e 500 ore di lavoro. Con 20 fiori di zafferano e 60 pistilli si ottiene una bustina di Zafferano 3 Cuochi da 0,15 grammi. Oltre a un contenuto preziosissimo, anche il packaging è notevole. La bustina, oltre ad essere iconica e senza tempo, contiene uno speciale incarto la cui caratteristica distintiva è far scivolare la polvere agevolmente senza far sprecare nemmeno un granello. La confezione è realizzata con materiali esclusivi che fanno da barriera e consentono di conservare le proprietà organolettiche del prodotto.

Il gelato è molto più di un semplice dessert: è un'esperienza sensoriale che, se fatto con ingredienti genuini, può anche offrire sorprese positive dal punto di vista nutrizionale. Ma quando si può davvero dire che un gelato è "buono"? Scopriamolo insieme. 1) La Freschezza: il Primo Segreto del Gelato Artigianale Un gelato di qualità parte dalla freschezza degli ingredienti. Devono essere di stagione, sani, di qualità e senza alterazioni. I migliori gelatieri artigianali preparano il gelato quotidianamente, utilizzando latte fresco, panna non trattata e frutta di stagione. La mancanza di conservanti e l’assenza di lunghi stoccaggi fanno sì che il prodotto mantenga intatte le sue caratteristiche organolettiche e nutrizionali. Indizi della freschezza? Colori naturali (niente pistacchi fluorescenti, menta verde ecc.), consistenza cremosa, omogenea e non collosa, e gusto autentico. 2) Valori Nutrizionali: il Gelato può Essere un Buon Compromesso Sebbene il gelato sia spesso visto come un piacere da concedersi con moderazione, in realtà può essere una fonte interessante di nutrienti, soprattutto nelle versioni artigianali. Proteine: quelle del latte e delle uova (se presenti), fondamentali per muscoli e sistema immunitario. Calcio e fosforo: ottimi per ossa e denti. Vitamine e antiossidanti: presenti nei gelati alla frutta fresca o al cioccolato fondente. Zuccheri e grassi: presenti, ma in dosi che variano a seconda delle ricette; un buon gelato non dev’essere eccessivamente dolce o pesante. Il trucco? Scegliere porzioni moderate e preferire gusti semplici e naturali. 3) Il Gelato Buono “Esiste”: Come Riconoscerlo Un gelato buono non ha bisogno di effetti speciali. È autentico, equilibrato, fatto con ingredienti riconoscibili e senza basi industriali. Si distingue anche per: Un’etichetta trasparente: pochi ingredienti, chiari e senza sigle misteriose. Un gusto vero: il limone sa di limone, non di caramella. Il pistacchio è delicato e naturale, non verde acceso. Una temperatura giusta: se troppo freddo o duro, potrebbe non essere ben mantecato. 4) Una Nota Importante Sugli Zuccheri Un gelato di qualità non deve essere necessariamente molto zuccherato. Anzi, spesso chi utilizza troppi zuccheri lo fa per mascherare la bassa qualità degli ingredienti, che potrebbero risultare amari o lasciare un retrogusto lungo e sgradevole in bocca. Un gelato di qualità ha un sapore autentico, deciso ma non invadente, che svanisce dolcemente e ti invoglia a mangiarne ancora. Un gusto troppo persistente è spesso dato da aromi industriali e chimici. Un Gelato Buono è Possibile? Sì, il gelato buono esiste, ed è quello che unisce sapore, freschezza e nutrizione in un equilibrio perfetto. Non è solo un piacere estivo, ma una piccola opera d’arte gastronomica che – con la giusta attenzione – può far parte di una dieta equilibrata. Attenzione però: per fare un grande gelato non è sufficiente avere materie prime di qualità. Ebbene sì, serve sapere come trattare gli ingredienti, conoscere a fondo la materia prima, e soprattutto serve il famoso sesto elemento... la passione.

Entrano in azione le tecnologie anti Xylella con il progetto di ricerca FYXILL, grazie al quale sono elaborate immagini acquisite da satelliti e da droni con sensori iperspettrali e termici, per il monitoraggio delle misure adottate per il contrasto della Xylella. L’appuntamento è giovedì 19 giugno, alle ore 10,30 a Brindisi presso Masseria Mozzone (Contrada Spetterrata - Montalbano di Fasano), per la giornata dimostrativa del progetto Fyxill Fight XYLeLla fastidiosa, finanziato da ASI - Agenzia Aerospaziale Italiana, organizzata da DTA in stretta collaborazione con UNAPROL Consorzio Olivicolo Italiano, Planetek. Saranno presentate le diverse tecnologie di telerilevamento disponibili, come satelliti, droni e sensori a terra, affrontando le sfide nell'implementazione delle tecnologie di telerilevamento in agricoltura, le opportunità di innovazione e le tendenze future nel settore. Ma saranno illustrati anche casi studio e applicazioni concrete delle tecnologie di telerilevamento in agricoltura, come la gestione delle risorse idriche, il monitoraggio della salute delle piante, la previsione delle rese e la gestione delle malattie e dei parassiti. Una guerra su tutti fronti per fermare la diffusione del batterio killer, con la Piana degli Ulivi Monumentali che ha già perso 1/3 degli ulivi di inestimabile valore preservati nel tempo, ed arginare in Puglia la diffusione della Xylella fastidiosa che secondo lo studio della prestigiosa rivista americana PNAS (Atti della Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d'America) potrà causare, se non viene fermata, un impatto economico negativo in Europa d in Italia fino a 20 miliardi, conclude Coldiretti Puglia.